Islanda

Sono stato in Islanda solo una volta, all’inizio di giugno 2016, ma penso che ci tornerò. Sono andato con due amici. L’organizzazione di base, spostamenti, pernottamenti, è stata efficiente come sempre, ma mi è rimasta l’idea che ci fosse di più da vedere e che nei sei giorni in cui siamo stati abbiamo visto solo un parte di quello che c’era veramente da vedere e da scoprire nel nostro giro a sud dell’isola.

L’Islanda sta diventando ogni giorno di più un posto sempre più turisticizzato. Guide e siti web indicano un certo numero di posti dove andare, fare foto, timbrare il cartellino e via. Cito un paragrafo tratto da un libro di fotografie di un autore locale, trovato nel negozietto del museo di fotografia di Reykjavik, di cui purtroppo non mi sono segnato i riferimenti:

[…] Every day buses come and go all the time, stopping there full
of travellers. They eat, they drink, and they go again. A frantic
moment and then they are gone. They all do the same things, make the
same noises, the same gestures, and they all look so much alike…
They fill up buses which all look the same, filled with the same
tourists. None of them stay behind. […]

E questa è l’idea che è rimasta a me, anche io ho fatto la stessa cosa. Con la differenza che noi abbiamo noleggiato un vecchio 4×4 invece che farci portare in giro da un bus turistico.

Arrivi e partenze

L’unico aeroporto internazionale è Keflavik, una vecchia base americana della guerra fredda. Probabilmente per motivi di convenienza di fusi orari un sacco di aerei, compresi i nostri, arrivano e partono intorno a mezzanotte. Da Nizza ho volato con Lufthansa via Monaco di Baviera. Piccolo brivido all’atterraggio, causa forte nebbia il pilota non si è accorto che la pista era finita e ha fatto una bella frenata: quando l’aereo si è girato per uscire dalla pista ho visto la fine della pista sotto l’ala.

Quella dell’arrivo è stata forse l’unica notte veramente buia, a causa della nebbia. Le altre sette notti, mi ricordo solo tanta luce (e il ronfare di Roberto). Comunque la mattina dopo, il primo giorno in Islanda, ci ha accolto con un cielo azzurro terso e temperature sopra i 20 gradi, che mi hanno fatto rimpiangere di non aver portato magliette e pantaloncini.

Il mitico Suzuki grand vitara

Il mezzo di locomozione

Due parole sul mezzo: i noleggi di 4×4 sono costosi, specialmente quelli che si trovano all’aeroporto. In un lampo di genio abbiamo cercato nei dintorni, trovando Kefcar che ci ha offerto un vecchio Suzuki del 2005 per circa 500 euro, per i sei giorni. Tanta ruggine, uno sterzo con un po’ tanto gioco, un cambio durissimo, ma proprio per quello ci ha fatto tanta simpatia. Bello alto, grandi finestrini, perfetto per girare in un posto con panorami mozzafiato e strade malridotte.

Reykjavik

Porta della cattedrale
Porta della cattedrale

Non ho trovato Reykjavik una città particolarmente interessante. È la capitale ed è relativamente grossa, ma in centro non ho trovato nulla di particolarmente attraente, insomma una città facilmente dimenticabile se non fosse che è l’unica città con dei palazzi veri e propri che abbiamo visto.

Ci sono alcune strade più o meno pedonali che formano una zona centrale, dove ci sono principalmente ristoranti etnici, uffici turistici e negozi di souvenir. Ci sono anche alcuni musei, abbiamo fatto un giro in quello della fotografia, in cui c’era una interessante mostra sulla vita e lo spopolamento del nord dell’Islanda.

Organ stops
Organ stops

La famosa cattedrale è in effetti impressionante ed è curiosa la porta che sembra quasi raffigurare Cthulhu. Dentro c’è un grosso organo che proprio in quei giorni stavano smontando e ripulendo.

Abbiamo mangiato tre volte a Reykjavik. La prima volta in un ristorantino consigliato da TripAdvisor, dove abbiamo fatto la conoscenza della Skyr. Dedicherò un intero capitolo allo Skyr più avanti perché se lo merita. Questo ristorante mi è piaciuto parecchio, era il Gamla vínhúsið. La seconda volta abbiamo mangiato per stanchezza in un ristorante piuttosto turistico e poco interessante, affianco al primo. Infine abbiamo fatto merenda e colazione in un posto che fa crêpes, gestito da una italiana: si chiama Eldur and Is e si trova all’inizio della strada in salita che porta alla cattedrale, sulla destra. Consiglio crêpe con lo Skyr e frutti di bosco.

Degna di una piccola nota la zona del porto da dove partono i giri in barca per i turisti: è uno strano miscuglio di passeggiata turistica fronte mare inframmezzata da cantieri navali sporchi e arrugginiti. Sempre sul fronte mare c’è una mostra permanente all’aperto, che, con cartelloni e mappe, elenca tutti i naufragi avvenuti nelle acque islandesi nel corso della storia. Sono tanti e la mostra occupa uno spazio non indifferente, vicino ad una locomotiva a vapore.

Heimaey

Vestmannaeyjar
Vestmannaeyjar

Heimaey è un isola che fa parte del piccolo arcipelago chiamato Vestmannaeyjar, formato per lo più da scogli inaccessibili. Sull’isola c’è una cittadina, chiamata Vestmannaeyjar (come l’arcipelago), raggiungibile con un traghetto dagli orari un po’ complicati. Dato che l’isola è piccola si può girare facilmente a piedi ed è consigliabile lasciare la macchina nel grosso parcheggio prima dell’imbarco del traghetto, per un risparmio economico considerevole Il pernottamento sull’isola ci è stato consigliato da Manuela, che ringrazio sentitamente, è uno dei posti più interessanti che ho visto.

La cittadina è formata quasi esclusivamente da villette, nel 1973 uno dei due vulcani che si trovano in periferia è eruttato, creando un nuovo pezzo di isola, ma distruggendo anche una parte della città.

Eldfell view
Eldfell

Leggendo wikipedia, si capisce che gli abitanti non si sono lasciati sconvolgere più di tanto: per salvare il porto, la cui imboccatura che stava per essere chiusa dal flusso della lava, hanno usato l’acqua fredda del mare per solidificare la colata e redirigerla altrove. Finita l’eruzione hanno usato il calore residuo per generare elettricità ed acqua calda. Nella foto qui sopra si vede il nuovo pezzo di isola, in basso. In lontananza si vede la costa islandese e il vulcano Eyjafjallajökull, che ha eruttato nel 2010.

Il vulcano è alto circa 200 metri e noi l’abbiamo scalato come passeggiatina prima di cena, per farci venire l’appetito. L’ultima parte è un po’ più stancante, è ripida e si cammina su del pietrisco, però la vista una volta arrivati sul bordo del cratere è magnifica. Purtroppo, anche un po’ a causa della luce bassa quella sera, non ho una foto che renda l’idea del panorama spettacolare.

Heimaey
Heimaey

L’isola è sede di una forte industria della pesca e passeggiando per il porto, mentre i miei due amici si arrampicavano a caccia (fotografica) di pulcinelle di mare, mi sono ritrovato davanti a dei pannelli pubblicitari inaspettati.

L'islanda e la Nigeria
L’islanda e la Nigeria

Ho scoperto, infatti, che uno dei prodotti più importanti dell’isola sono le teste di pesce secco, esportate verso la Nigeria, dove sono considerate una prelibatezza. Notare in basso i simpatici islandesi, provenienti da questa isoletta nebbiosa e tranquilla, vestiti da magnati nigeriani. Le spiegazioni comprendevano anche dettagli sul sistema all’avanguardia per seccare il pesce che è stato recentemente installato nei capannoni lì dietro.

Sull’isola c’è un piccolo museo dove, leggenda vuole, ci sia una pulcinella di mare viva e vegeta. Pare anche che la lasciassero toccare e accarezzare, ma che a seguito dell’aumento del numero di turisti ora non si possa più (ma nei giorni di baso afflusso, il nostro albergatore ha lasciato intendere che forse…). Non abbiamo indagato, per mancanza di tempo e, almeno per me, perché, insomma, povero uccello tocchignato dalle manine unte dei bambini di mezzo mondo, lasciatelo in pace.

Jökulsárlón

Jökulsárlón
Jökulsárlón

La famosa laguna coi pezzi di ghiaccio blu. Era il posto che volevo assolutamente vedere prima di partire e che, tra i posti più noti e frequentati che abbiamo visto, mi è piaciuto di più.

Intanto bisogna chiarire, di lagune ce ne sono due. Venendo da ovest, c’è Fjallsárlón, un po’ più lontano dalla strada e raggiungibile con un corto sterrato. Dopo qualche chilometro c’è un ponte sospeso e la seconda laguna, la più grossa e famosa Jökulsárlón.

Fjallsárlón
Fjallsárlón

Quando siamo passati noi, la prima laguna era molto più piena di blocchi di ghiaccio galleggianti ed essendo leggermente meno accessibile e meno nota c’era più tranquillità e meno pressione turistica.

Queste lagune sono formate da “piccole” lingue dell’enorme ghiacciaio che si trova al centro-sud dell’Islanda. Il ghiaccio lentamente scivola verso la laguna, si scioglie e si spezza, alimentando l’industria turistica locale. Sono disponibili giri in gommone e addirittura il giro con l’autobus anfibio, cartoline, souvenir e fast food.

Jökulsárlón
Jökulsárlón

Il paesaggio è spettacolare. Intorno ci sono le solite collinette semi-desertiche giallo marrone con qualche pianta che cerca disperatamente di sopravvivere. L’acqua è blu. Il vento arriva dritto dal ghiacciaio, freddo, ma anche di aria purissima. I blocchi di ghiaccio tendono ad essere bianco sporco, ma qua e là si vedono gli azzurri e i turchesi che spuntano. Nel canale che sfocia in mare, sotto al ponte sospeso, questi iceberg rotolano, si scontrano e si spezzano, trascinati dalla forte corrente, emettendo dei bassi boati.

La spiaggia coi blocchi di ghiaccio
La spiaggia coi blocchi di ghiaccio

Subito prima del ponte sospeso, a destra sempre venendo da ovest, poco segnalato c’è il parcheggio per la spiaggia. Parecchie foto circolano di questi blocchi di ghiaccio arenati sulla spiaggia di sabbia nera, ma quando si arriva al ponte tutti, noi compresi, guardano a sinistra, verso la laguna, e si perdono il fatto che a destra c’è un altro spettacolo della natura. Il ghiaccio che esce dalla laguna, infatti, a causa delle correnti e delle maree, si arena facilmente sulla spiaggia, per chilometri e chilometri.

Per fare delle belle foto qui ci vogliono tempo, pazienza e senso artistico. In quel momento, guarda caso, non avevo nessuna delle tre e quindi ci dobbiamo accontentare di queste due foto che rendono appena appena l’idea della lunghezza infinita della spiaggia e della varietà delle forme e dei tipi di ghiaccio che si possono trovare.

I tormentoni

Tre tormentoni ci hanno accompagnato nel nostro giro islandese. Lo Skyr, il drone e i puffin.

Lo Skyr

Lo Skyr è uno dei pochi prodotti veramente tipici dell’Islanda. Wikipedia italiana parla di un formaggio a base di latte acido, a me sembrava più simile allo yogurt greco, ma molto più leggero (concordo con Wikipedia in inglese). Non ha niente a che vedere con il Kyr della Danone.

È buonissimo, si trova puro o in vari gusti come lo yogurt. Purtroppo non lo esportano più a sud della Svizzera, per qualche motivo a me sconosciuto. Tutte le colazioni le ho fatte a base di Skyr e se mai vi capitasse sotto mano ve lo consiglio vivamente.

Il drone

Roberto si è portato sulle spalle uno zaino enorme con un drone. Con una autonomia di circa mezz’ora e solo una ricarica al giorno (alla sera in albergo) aveva il problema costante di selezionare i luoghi migliori dove usarlo. Francesco ed io l’abbiamo preso un po’ tanto in giro per via di questo drone e del suo ronzio, ma Roberto è riuscito, malgrado il nostro costante mugugno e degli uccelli gelosi del loro spazio aereo, a fare degli ottimi video (e a conquistare l’interesse di tre americane).

I puffin

I puffin, pulcinelle di mare, sono uccelli che hanno una testa particolare che li fa sembrare tristi ai nostri occhi. In teoria si trovano un po’ ovunque lungo le coste, ma noi siamo riusciti ad avvistarne solo uno, di sfuggita.

Pulcinella di mare

Il problema era che lungo la via abbiamo incontrato altre persone che ne avevano visti a bizzeffe un po’ ovunque. Ricordiamo tra gli altri: le due ragazze francesi che ne hanno visto “un paio” nelle scogliere sopra a Vestmannaeyjar e la coppia di fotografi italiani “uno stormo ci è volato addosso”. Qui di lato vedete il nostro puffin, quel puntino bianco appena riconoscibile.